Altro che “Fine della Storia” ! Stiamo peggio che nella Guerra Fredda
La confusione mondiale è al suo diapason. Il verso del trentennio globalista sta per essere rimodulato. Tutto si è rimesso in movimento e viaggia spedito senza una meta.
L’instabilità è la regola nelle relazioni internazionali: quello che noi chiamiamo “ordine
mondiale” è sempre stato una situazione tutt’altro che ordinata, ai limiti del caos e dell’anarchia.
La Pax Americana era un’illusione come a suo tempo lo fu la Pax Romana. Anche se fa male
dirlo, la guerra ha avuto un ruolo decisivo nella Storia, ed è purtroppo illusorio pensare che
scompaia presto dal nostro orizzonte, prima che l’intero pianeta non si sia evoluto, integrato e
armonizzato, superando tutte le rigidità dogmatiche e i fanatismi estremisti ancora presenti.
All’orizzonte, tutt’al più, possiamo intravvedere i cambiamenti delle sue regole: la spaventosa
potenza distruttiva degli arsenali nucleari concepiti esclusivamente come deterrente, ha generato
diversi conflitti per procura (fra piccoli alleati delle superpotenze rivali), ma oggi dirotta energie
militari verso armi asimmetriche, poco costose ma devastanti, quali droni e altre applicazioni
dell’intelligenza artificiale, cyberguerre, fake news virali per la disinformazione, bioterrorismo,
usi militari dello spazio.
Tutte queste novità nel campo strategico non tendono a favorire l’Occidente per almeno tre
ragioni.
PRIMO: le nuove armi tecnologiche e non convenzionali costano poco, quindi riducono il
vantaggio militare associato al Pil.
SECONDO: gli USA hanno investito così tanto e così a lungo nelle armi tradizionali (si pensi al
costo di una portaerei), che i suoi vertici militari sono legati al “capitale” di cui dispongono,
mentre altre nazioni in ascesa diversificano più agilmente verso le nuove tecnologie belliche.
TERZO: (e questo riguarda l’Europa, il Giappone, la Corea-Sud, Australia, Nuova Zelanda,
Taiwan) una lunga pace sotto l’ombrello protettivo degli USA ha creato pericolose illusioni
pacifiste nell’opinione pubblica delle liberaldemocrazie. Fra tali illusioni figura l’ambizione
dell’Europa di essere una “potenza mite”, capace di rispettare e farsi rispettare da tutti e di
difendersi usando solo strumenti civili. L’aggressione russa all’Ucraina ha ricordato le
conseguenze angoscianti di un ridimensionamento delle forze armate: se Putin un giorno dovesse
rivolgere i suoi appetiti verso qualche paese della NATO.
Il costo “ordinario” per il mantenimento dell’ombrello militare americano ha ormai oltrepassato
da tempo i 700 Mld di $ annui (viene da piangere a pensare i potenziali usi alternativi di questa
enorme massa di risorse).
Gli imperi crollano quando cominciano a soffrire di iperdilatazione dei territori da
difendere e delle spese militari, non più sostenibili. Tuttavia, la dottrina sui benefici
universali dell’egemonia liberale non riesce a superare i suoi tre dogmi apprezzati sia dai
conservatori che dai progressisti.
PRIMO DOGMA: è impossibile una guerra fra democrazie (principio ispirato dal filosofo
tedesco Immanuel Kant). Conseguenza: se desideriamo vivere in un mondo pacifico, dovremmo
esportare democrazia in ogni angolo del pianeta. Con le buone o con le cattive? Questo dipende
dalle inclinazioni di chi governa al momento. I problemi di questa apologia delle democrazie
sono tanti. Può legittimare aggressioni contro paesi non democratici e i loro popoli. Inoltre non ci
rassicura in un mondo dove i confini delle democrazie indietreggiano. La mostruosità delle torture
inflitte dai soldati americani (processati solo alla fine dell’occupazione) ai prigionieri iracheni nel
carcere di Abu Ghraib, lo scandalo delle detenzioni illegali a Guantànamo, le stragi di civili e altre
vittime collaterali degli “errori” della NATO: una lunga litania di crimini e abusi ha dimostrato
che le crociate per esportare democrazia hanno macchiato la credibilità dell’Occidente.
SECONDO DOGMA: quando tra le nazioni si sviluppano legami economici importanti, la
guerra diventa un controsenso perché i danni sarebbero insopportabili per tutti. Ma il
teorema dello scontro impossibile per ragioni economiche era già crollato allo scoppio delle due
guerre mondiali: Regno Unito e Germania intrattenevano una fitta rete di rapporti commerciali e
finanziari poco prima di combattersi.
TERZO DOGMA: valido, soprattutto, per la sinistra globalista, è l’idea che una robusta
architettura di istituzioni multilaterali sia una garanzia forte di pace, sicurezza, stabilità e
giustizia. Non sembra reggere di fronte all’incapacità dell’ONU di evitare guerre, all’impotenza
dell’Organizzazione mondiale del commercio nel far rispettare le regole, al fallimento
dell’Organizzazione mondiale della sanità davanti alla pandemia.
Occorre, quindi, un riesame profondo del trentennio globalista in cui le grandi strategie di
Washington sono state dettate prevalentemente dagli interessi del suo sistema economico e
politico. Ne fa parte anzitutto quello che un ex generale, il vincitore della seconda guerra
mondiale sul fronte europeo, definì nel 1961 “il complesso militare-industriale”. La formula,
coniata dal presidente repubblicano Dwight Eisenhower, è stata con forza riesumata dal
democratico Obama a proposito degli scontri indimenticabili al calor bianco che si consumarono
alla Casa Bianca dal 2009 in poi sulla guerra in Afghanistan. Diciamolo, “il complesso militare-
industriale” è molto più di una lobby.
Certo non si può ridurre tutta la storia dell’ascesa e declino alla sola forza economica.
Un’economia prospera e sana è una condizione, almeno nel lungo termine per avere una potenza
militare tale da dissuadere i rivali aggressivi e molesti. Ma non è l’unica condizione. Altri fattori
importanti sono la geografia, la coesione e l’equità sociale, i sistemi di alleanze, la fiducia in sé,
l’adesione a valori. Ma soprattutto una attenzione particolare va dedicata alla qualità della
classe dirigente. Un establishment sclerotizzato, uno Stato iperburocratico possono minare
le basi di una grande potenza. L’Occidente – se funzioneranno gli anticorpi della libertà e
dello Stato di Diritto – saprà liberarsi di una classe dirigente inadeguata: incompetente,
paurosa e/o corrotta.