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Dal Piano Marshall al Recovery Fund. Garanti per l’Italia? Einaudi e Draghi

La rinascita dell'Europa occidentale cominciò con il Piano M. I suoi risultati, fortemente benefici, si poterono confrontare con la ricetta alternativa: quella che l'URSS applicò all'Europa dell'Est sotto il suo tallone.

L’Europa sarebbe come la conosciamo se non ci fosse stato il Piano Marshall?
E’ difficile trovare nella storia altri esempi di un progetto di aiuti così ben amministrato e così
efficace, forse con la sola eccezione della occupazione-ricostruzione del Giappone, ma con
metodi molto ma molto diversi.
Il Piano Marshall o European Recovery Program, non costò molto al contribuente
americano: poco più di 13 miliardi di dollari in quattro anni dal 1948 al 1951. Naturalmente
si tratta di valori monetari da adattare ai valori attuali. Comunque, quei capitali americani nel
momento in cui vennero versati valevano mediamente il 2,5% del Pil annuo delle nazioni
europee beneficiate, circa il 10% in quattro anni (tranne la Germania che ricevette il 16% e,
in sovrapprezzo, la cancellazione del debito di guerra). Per fare un paragone con l’attualità: il
Recovery Fund approvato dall’Unione europea, durante la pandemia Covid del 2020, promette
di elargire fondi pari mediamente al 20% del Pil in sei anni, per realizzare investimenti e
Riforme (ragion per cui l’Italia, con molti problemi pregressi, si è vista assegnare i fondi più
cospicui).
Sbalorditivo fu constatare che alla conclusione del Piano Marshall, in soli quattro anni, la
produzione industriale fece un balzo del 64%.
La Rinascita dell’Europa cominciò così.
Da lì ebbero inizio i “miracoli” tedesco, italiano e francese della ricostruzione postbellica. La
premessa di un boom economico, certo, ma anche l’avvio di una rinascita psicologica e morale,
per paesi marchiati dall’infamia dei nazifascismi (Germania e Italia) o dall’umiliante débàcle
militare seguita dal collaborazionismo con il nemico (Francia).
Nell’Europa di quegli anni il Piano Marshall venne circondato di vari sospetti, soprattutto da
parte di quelle forze di sinistra che attribuivano una superiorità politica e morale all’Unione
Sovietica. Nel clima della guerra fredda che iniziò proprio allora, si accusarono gli americani di
usare il Piano per condizionare e manipolare gli europei, costringendoli a importare il loro
modello capitalista. Tanti europei si convinsero che questo fosse l’esito, non solo i comunisti
manipolati da Stalin. Soltanto con il passare degli anni e dei decenni attorno al Piano Marshall si
creò un’aureola radiosa. I suoi risultati benefici si poterono confrontare a distanza di tempo
con gli esiti della ricetta alternativa, applicata dall’URSS nella metà d’Europa sotto il suo
tallone.
Trent’anni dopo il primo annuncio del Piano Marshall, nel 1977 il leader comunista italiano
Enrico Berlinguer arriverà a dire di “sentirsi più sicuro da questa parte nell’Alleanza Atlantica”.
Ai militanti di base occorse un po’ più tempo per capirlo: ciò avvenne dopo la caduta del
famigerato Muro eretto per non far scappare i sudditi, il collasso dell’URSS e la fine dell’illusione
comunista.
Grazie alla pressione di Washington, l’ultimo anno del Piano Marshall coincise con l’annuncio di
un altro progetto: il Piano Shuman, che nel 1950 lanciò la Comunità del carbone e dell’acciaio
(Ceca), il primo embrione di quel che diventerà l’Unione europea.
Mi sembra utile ricordare che durante la crisi dell’Eurozona del 2010-2012 emerse con
particolare virulenza polemica la vicenda della cancellazione del maxidebito tedesco accordata
dagli americani nel 1953. L’intento polemico era chiaro: mettere a confronto la cultura politica
aperta e la capacità egemonica americana nel dopoguerra e l’incapacità tedesca, di fronte alla
rovinosa crisi finanziaria, di porsi in posizione trainante nel Continente. Infatti, a ruoli rovesciati,
la Germania diventata il ricco creditore rifiutò, nei confronti della Grecia, il “perdono” del debito
considerandolo immorale e pericoloso per il dogma dell’austerity. L’economista americano

Jeffrey Sachs scrisse una lettera, molto critica, al ministro delle finanze tedesco pubblicata sul
“Suddeutsche Zeitung” il 31/07/2015 col titolo “La morte per debiti” ricca di passione civile e
politica, di logica economica e di riferimenti storici.
Nel 2020 l’ondata di decessi, le sofferenze e i gravi danni economico-sociali causate dalla
pandemia Covid 19, hanno spinto la Germania di Angela Merkel (insieme a Macron e
Gentiloni) a riflettere sulla lezione storica marshalliana: “una società troppo impoverita,
stressata e impaurita può subire forme di disgregazione populiste e scivolare verso avventure
politiche pericolose”.
Un decisivo e esplicativo terreno di confronto tra il Piano Marshall e il Recovery Fund
riguarda, ieri come oggi, la capacità degli italiani di fare buon uso degli aiuti venuti
dall’estero.
LE ANALOGIE ABBONDANO. Gli esperti americani che dovettero amministrare il Piano, privi
di qualsiasi potere esecutivo (che ha oggi la Commissione UE) temevano che i politici italiani
sprecassero quei fondi a scopo “assistenziale”, senza ricostruire un’economia produttiva e
competitiva. Anzitutto, “rispetto ai principali paesi europei, l’Italia presenta con ritardo...gli
organismi che avrebbero dovuto attuare il Piano” (Mauro Campus). Regnava l’approssimazione,
si rischiava la polverizzazione dei fondi statunitensi.
Le pressioni americane servirono, eccome. Alla fine, il 28% dei Fondi USA venne destinato a
realizzare la bonifica agraria; il 36% al ripristino dei trasporti ferroviari; il 14% alla costruzione di
case; l’8% a lavori pubblici; il 6% a riorganizzare la marina mercantile; il 3,2% a riparare
strutture turistiche danneggiate dalla guerra.
In quell’occasione gli americani che pure nutrivano molta stima per il Presidente del consiglio
Alcide De Gasperi, individuarono come punto di riferimento una autorità italiana che fungesse
da “garante” dell’applicazione efficiente/efficace del Piano, una persona molto competente,
realista e ben orientata di cui si fidavano ciecamente: Il Governatore della Banca d’Italia, futuro
Presidente della Repubblica, il Professor Luigi Einaudi.
AI GIORNI NOSTRI secondo le linee guida indicate nelle 44 pagine che la Commissione UE
ha pubblicato il 17 settembre 2020, quattro sono gli obiettivi guida del NEW
GENERATION UE:
- La promozione della coesione economica, sociale e territoriale dell’Unione;
- Il rafforzamento della resilienza economica e sociale;
- La mitigazione dell’impatto sociale ed economico della crisi pandemica;
- Il supporto alla transizione verde e digitale.
Per l’Italia, in particolare, considerati i punti deboli pregressi, il Consiglio ha disposto
l’assegnazione di 219 Mld che oltre i quattro obiettivi guida tradotti in agende nazionali
affrontassero questi temi:
- Superare la lentezza della Giustizia (oggi 3 volte i tempi medi dell’UE)
- Riformare e snellire la Pubblica Amministrazione
- Riformare il Fisco per favorire lavoro/imprese e promuovere l’ingresso di donne e giovani nel
mondo produttivo
- Sviluppare il SSN con potenziamento assistenza di prossimità e telemedicina
- Migliorare rendimenti scolastici e potenziare R&S
- Raddoppiare il tasso di crescita economica e di produttività del sistema economico italiano
anche riformando la concorrenza.
Nella sua ultima stesura il PNRR predisposto dal Governo italiano e approvato dalla
Commissione UE, prevede per ogni obiettivo Progetti puntuali, corredati da parametri
quantitativi misurabili, tempistica di realizzazione e organi di monitoraggio e
rendicontazione degli stati di avanzamento degli stessi.
Niente di più e niente di meno doveva essere fatto per aver concreto accesso ai Fondi UE ed è
stato fatto. Ungheria e Polonia che credevano di poter fare di testa propria senza alcun rispetto
delle condizioni UE previste non riceveranno i Fondi che pure erano stati loro assegnati. L’Italia,

con la guida di Mario Draghi (noto e apprezzato in tutto il mondo) come “garante” di
questo percorso virtuoso si è messa decisamente sulla giusta strada.

®TommasoBasileo - 2024

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