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Dalla Repubblica di Weimar al III° Reich

Come è potuto succede che la nazione più colta e industrializzata dell'Occidente, dopo aver attraversato una modernissima Riforma Costituzionale a Weimer, cadesse preda del controllo totale di un clan di psicopatici criminali?

Se si osserva il fenomeno storico fascista in una prospettiva globale, il crollo delle
democrazie non può apparire come una semplice conseguenza della Depressione: nella storia,
tantissime democrazie sono riuscite a superare gravi crisi economiche e altrettante dittature si
sono affermate prima di una recessione o in seguito a cali di produzione insignificanti. Da un
punto di vista strettamente europeo, però, non è possibile ignorare la correlazione tra intensità
delle difficoltà economiche di un paese e la percentuale di voti a favore dei partiti fascisti. In
media, i paesi che versavano in situazioni economiche più disperate furono anche quelli con il
maggior numero di elettori di orientamento fascista. La crisi colpì in particolar modo l’Europa
centrale e dell’Est. La regione in cui il fascismo esercitava la massima attrattiva. Ma furono i
tedeschi a lasciarsi sedurre più degli altri, e auguriamoci che questa attrazione fatale non si
ripeta: AFD nel 2025 ha raggiunto il picco del 20% dei consensi sostenendo che “Hitler è
stata solo una cacchetta di uccello nella storia della Germania”.
La differenza fondamentale tra il Terzo Reich e gli altri regimi fascisti degli anni Trenta fu
semplicemente questa: la maggior parte degli Stati che, tra le due guerre, assistettero al crollo
della democrazia erano paesi relativamente arretrati, in cui minimo la metà della popolazione
attiva lavorava nel settore agricolo. In Germania e Austria meno di un terzo della popolazione
attiva lavorava nei campi.
La vera sfida è riuscire a spiegare come fu possibile per un individuo palesemente
disturbato come Hitler conquistare il controllo totale di quello che a detta di molti, almeno
fino al 1933, era il paese più sofisticato d’Europa, se non del mondo intero.
Per molti visitatori degli anni Venti, la Germania era l’equivalente europeo degli Stati
Uniti: vasta, industriale e ultramoderna. Vi avevano sede alcune delle aziende più grandi e
importanti del continente: la Siemens, gigante dell’ingegneria elettrica, la Deutsche Bank, titano
finanziario, la casa automobilistica Mercedes Benz e la IG-Farben conglomerato di aziende
chimiche. Berlino vantava l’industria cinematografica più grande d’Europa. La capitale tedesca
possedeva testate giornalistiche di ogni tendenza, anche scandalistiche, grandi magazzini, e assi
dello sport idolatrati. L’influenza del paese al di là dell’Atlantico era così potente che Franz Kafka
poté scrivere “America” senza esserci mai stato. Oltre un quarto dei premi Nobel per la scienza
tra il 1901 e il 1940 furono assegnati a tedeschi, soltanto l’11% agli americani.
Però, però nei piccoli centri di provincia esisteva un’altra Germania che non
mostrava alcun interesse per il frenetico modernismo della Grossestadt, una Germania
traumatizzata dai tumulti che accompagnarono la scioccante rivelazione della disfatta del
novembre 1918. Gli episodi rivoluzionari dell’immediato primo dopoguerra si verificarono quasi
sempre nelle grandi città: Berlino, Amburgo, Monaco. Per redigere la nuova Costituzione si era
eletta la tranquilla capitale della Turingia, ma la Repubblica di Weimer ebbe sempre carattere
metropolitano.
La Repubblica si lanciò in una impresa impossibile: creare uno Stato sociale e al
tempo stesso pagare le riparazioni imposte dal Trattato di Versailles. Questo sottopose
l’economia tedesca a una pressione che sfociò non in una, ma in due crisi: dapprima
l’iperinflazione del 1923, quindi la forte deflazione dopo il 1929. L’inflazione segnò il crollo
non soltanto dei valori monetari ma di tutti i valori della società borghese del periodo prebellico:
pace e ordine cari ai tedeschi. Tuttavia, la Repubblica di Weimer, a conti fatti, durò tre anni
più del Terzo Reich millenario.
Gli anni tra il 1919 e il 1923 furono un succedersi di tentati colpi di Stato delle fazioni
estreme di sinistra e di destra, senza considerare la sequela di omicidi commessi da oscure

società segrete, una delle quali assassinò Rathenau che, in veste di ministro degli Esteri, era
colpevole per definizione dei sacrifici imposti al paese per rispettare le pesanti condizioni di
Versailles. In seguito al crollo della moneta, molti elettori abbandonarono i partiti di centrodestra
e di centrosinestra del ceto medio, delusi dallo scambio di favori tra forze economiche e mondo
del lavoro che sembrava dominare le politiche della Repubblica. I partiti si frantumarono e in
seguito si assistette a nuove forti aggregazioni di consenso. Nel 1930 i nazisti guadagnarono un
numero di voti sette volte superiore a quello delle elezioni del 1928.
Naturalmente ci furono delle alternative a Hitler, ma nessuna praticabile. Gustav
Stresemann del Partito popolare aveva suggerito un compromesso con le potenze occidentali
fattibile e offerto una speranza di rivalsa ad Est, ma morì di infarto il 3 ottobre 1929, a soli 51
anni.
Nelle elezioni del luglio 1932 i nazisti raccolsero oltre il 37% dei voti. Nel turno
successivo, in novembre, persero 4 punti, non ultimo a causa dei segni di ripresa che si erano
finalmente manifestati, ma ormai non era più possibile mettere in discussione la legittimità di
governo del partito più forte del Reichstag.
Dopo il bluf di Franz von Papen, il 30 gennaio 1933 Hitler divenne cancelliere e la
democrazia tedesca firmò la propria condanna. Considerata l’ostilità ormai fossilizzata tra
socialdemocratici e comunisti (insieme avrebbero potuto avere un peso), l’unico provvedimento
che avrebbe potuto prendere Hindenburg per evitare il Terzo Reich sarebbe stato sciogliere le
Camere e mettere i nazisti al bando, ma questa eventualità non fu mai presa in considerazione. I
leader comunisti dovettero constatare con amarezza come, in alcuni distretti, sui voti assegnati al
partito nazista ben due quinti provenissero dalla classe operaia che in passato votava comunista.
In alcuni collegi, invece, alcuni candidati comunisti fecero apertamente fronte comune con i
nazisti. “Si, riconosciamo di esserci alleati con i nazionalsocialisti” dichiarò un capo comunista in
Sassonia. “Il bolscevismo e il fascismo condividono un obiettivo: distruggere il capitalismo e la
democrazia liberale. Questo fine giustifica ogni mezzo”.
Hitler, rispetto le riparazioni, proponeva semplicemente la strada dell’insolvenza e
aveva in serbo un vasto programma di opere pubbliche: un formidabile, astronomico
riarmo.
I nazisti dovettero molto del proprio successo a Joseph Goebbels, il genio del male del
marketing del ventesimo secolo, che presentò Hitler al pubblico tedesco come un miracoloso
incrocio tra il Messia e Marlene Dietrich. Mai come nelle campagne elettorali naziste del 1930,
1932 e 1933 l’opinione pubblica fu bersaglio di una vera e propria strategia di aggressione, fatta
di adunanze, manifesti accattivanti, arie trascinanti e intimidazioni fisiche premeditate per gli
oppositori. Molti di questi metodi si rifacevano al regime di Mussolini, ma Goebbels comprese
anche l’importanza della raffinatezza e, al tempo stesso, della magniloquenza, e considerò la
necessità di adattare il messaggio a seconda dei diversi segmenti elettorali ai quali veniva di volta
in volta trasmesso, dimostrandosi addirittura più losco e manipolatore dello stesso Hitler.

Tommaso Basileo

®TommasoBasileo - 2024

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