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La spada di Damocle sul nostro futuro: picco del petrolio - esaurimento delle riserve

La decarbonizzazione avrà successo solo se fondata su un mix equilibrato, e realizzata in tempi tali che prevengano il "vuoto energetico" che sarebbe drammatico quanto un conflitto nucleare.

Abbiamo costruito il mondo e organizzato le nostre esistenze permettendo che il
petrolio diventasse di vitale importanza per ogni cosa che facciamo: il 90% di tutti i trasporti,
terrestri, aerei o marittimi, utilizzano il petrolio; il 95% dei prodotti che troviamo nei negozi
richiede l’utilizzo del petrolio; il 95% dei prodotti alimentari richiede l’utilizzo del petrolio. Per
ogni bovino allevato e immesso nel mercato ci vogliono sei barili di petrolio, quanto basta per
andare in auto da Napoli a Oslo. Al momento, il mondo consuma più di 102 milioni di barili di
petrolio al giorno, oltre 37 miliardi di barili l’anno. Questa cifra sta salendo rapidamente
(tranne le frenate per la crisi finanziaria 2008 e il Covid nel 2020) come già accade da decenni, e
l’aspettativa generale prevede che continuerà a farlo nei prossimi anni. L’Agenzia internazionale
per l’energia (AIE), l’organizzazione istituita dai paesi sviluppati per questioni relative al petrolio
e alle altre risorse energetiche, riporta dati impressionanti: L’Outlook del 2022 prevede entro il
2040 un consumo di 140 milioni di barili al giorno.
ANCHE SE NON FOSSIMO ALLE PRESE CON IL CLIMATE CHANGE, ANCHE
SE NON FOSSIMO CONVINTI SULLA NECESSITA’ DI SUPERARE L’ENERGIA
FOSSILE, LA DOMANDA CHE DOVREBBE TOGLIERCI IL SONNO DOVREBBE
ESSERE:
QUANTO PETROLIO RIMANE NELLE RISERVE MONDIALI ESISTENTI E
POTENZIALI?
Il petrolio si forma solamente in poche zone ristrette del mondo dove si verificano
condizioni particolari e comunque è una risorsa limitata. Fu scoperto per la prima volta negli
Stati Uniti nel 1859 e alla fine dell’Ottocento iniziò l’estrazione dell’oro nero anche in Russia. I
singoli giacimenti petroliferi seguono una curva produttiva ascendente, destinata a superare
un “picco” quando la pressione cala per poi tracciare un arco rapidamente discendente della
produzione fino all’esaurimento.
Dal 2005 si va delineando uno scenario contraddittorio, un po’ paranoico, a proposito
delle previsioni delle riserve mondiali di petrolio: i geologi che operano per le grandi
compagnie petrolifere occidentali cominciano a prefigurare, ai ritmi di consumo attuale, un rapido
esaurimento anche dei grandi giacimenti scoperti dopo il secondo dopoguerra, soprattutto nel
Medio-Oriente; i geologi che operano per le compagnie degli Stati OPEC continuano, ogni
decennio che passa, a modificare al rialzo i volumi “certificati” (da loro) delle riserve ancora
disponibili.
I più importanti geologi del mondo concordano, tuttavia, su un dato che ritengono
incontrovertibile: “Sono occorsi centotrent’anni per consumare su scala globale i primi mille
miliardi di barili di petrolio. Il prossimo migliaio di miliardi andrà esaurito in circa
cinquant’anni”. Tutti gli scienziati, i politici, i governanti e i capitani d’industria dovrebbero,
dunque, fare ogni sforzo per plasmare la prossima era energetica prima che, all’improvviso, il
petrolio finisca provocando una catastrofe peggiore di una guerra mondiale.
Dopo il primo traumatico embargo arabo del 1973 cominciò una rincorsa frenetica
all’esplorazione, con pochi interessanti riscontri (Brasile, Messico, Angola, Nigeria) che, però,
diedero fiato all’economia mondiale per più di trent’anni. Poi, ogni singola tecnica di “recupero
assistito” inventata è stata applicata nei campi petroliferi più vecchi, non esauriti. Oggi, però, ci
accorgiamo che il recupero assistito si è trasformato in un mostruoso catalizzatore
dell’esaurimento del petrolio, sta cioè accelerando quello stesso problema che doveva invece
risolvere. La produzione assistita usata oggi nei giacimenti più antichi in America e Russia e

domani in quelli più giovani, non farà altro che rendere più ripida la curva discendente della
produzione globale.
QUANTO IMPIEGHEREMO AD ABBANDONARE PETROLIO, GAS E
CARBONE?
In linea teorica e stando agli impegni programmatici soprattutto di UE e USA dovremmo
traguardare questo obiettivo tra il 2050 e il 2070.
Le tecnologie rinnovabili sono il fulcro portante del Green Deal europeo e americano
che è nato come risposta al cambiamento climatico ma affronta finalmente di petto anche
“l’incubo del vuoto energetico” e inibiscono l’uso dell’energia come strumento contundente
di aggressione sulla linea della guerra ibrida. E questo va ricordato a quanti, in Europa, a
puro scopo propagandistico e identitario, stanno imbastendo una critica serrata, senza
quartire, contro i governi orientati alla transizione eco-energetica.
Quelli della transizione eco-energetica sono tecnologie genericamente solari, poiché quasi
tutte sfruttano, in modo diretto o indiretto, la luce che investe la Terra. Il sole produce
nell’atmosfera un riscaldamento differenziale da cui si genera il vento, che serve per azionare gli
impianti a energia eolica. Il vento, a sua volta, genera le onde marine, necessarie per far
funzionare i sistemi che sfruttano il moto ondoso. Il sole produce inoltre un riscaldamento
differenziale nell’oceano, responsabile delle correnti, che sono essenziali per azionare le turbine
marine, ed infine fondamentale per la fotosintesi, che è alla base del ciclo vitale delle piante, dalle
quali si ricavano i combustibili. L’unica fonte rinnovabile non legata alla luce solare è l’energia
prodotta dalle maree, che infatti dipende dall’azione gravitazionale della luna. Queste sono le
uniche fonti non solo pulite ma da considerare “inesauribili”.
Negli ultimi anni, dopo un lungo periodo di stasi, i fautori del nucleare hanno cercato
di dare nuova linfa a questa opzione. L’argomento più sostanzioso e convincente che portano
avanti i nuclearisti è duplice: “Il nucleare moltiplica e stabilizza la produzione di energia elettrica
in modo continuativo e senza emissioni di CO2”. In modo particolare, si punta sui processi di
fissione di quarta generazione quanto su quelli di fusione “il sole in bottiglia” (con azzeramento
del problema delle scorie) e si prevede di metterli in calendario tra il 2030 e il 2040.
In Italia, due allievi del Prof. Rubbia Stefano Buono e Luciano Cinotti hanno creato
la startup NEWCLEO e cominceranno a produrre piccoli reattori da 200 Mwe già a partire
dal 2026. Il mini-reattore Newcleo sara alimentato praticamente a scorie, costerà 1/10 dei reattori
tradizionali e le sue scorie resteranno radiattive per soli 250 anni. Sarà raffreddato a piomboo
anziché ad acqua.
Coloro che si oppongono, non in termini ideologici si intende, al nucleare e non credono
al ritorno in auge di questa scelta, sollevano tre obiezioni:
tempistica di realizzazione – elevato livello investimenti – pericolo terrorismo. Di queste tre
obiezioni, con l’opzione Newcleo, resterebbe in piedi soltanto l’ultima.


®TommasoBasileo - 2024

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