top of page

I terroristi “islamici” all’assalto delle plutocrazie demo-giudaiche

Dopo la presa di posizione ufficiale della Lega Araba contro Hamas e per i due popoli due Stati, in Medio Oriente forse potrà iniziare, dopo 77 anni di conflitti, un'era di pace, dove l'odio che alimenta il terrorismo Jihadista e arricchisce i Ras, non avrà più cittadinanza.

Già dopo la tragedia di New York, con sempre più insistenza si sentì parlare di un
XXI secolo segnato da un grande scontro tra civiltà, così come nel XIX si erano scontrate le
nazionalità e nel XX le ideologie. Non c’è niente di più insensato che cedere alla tentazione
di una tale vertigine: il mondo islamico conta due miliardi di persone.
Se si dice che il terrorismo ha dichiarato guerra all’Occidente, e le ragioni di questa guerra
le sostiene dietro la maschera di una ideologia, siamo d’accordo. Ma dietro l’ideologia non c’è
una civiltà, non c’è neppure una religione, anche se le minacce di annientamento utilizzano un
vocabolario sacro, forse non c’è nemmeno la disperazione dei diseredati, dietro l’ideologia del
terrorismo c’è un materialissimo, banale, interesse politico ed economico di potenti e feroci
cosche clanistiche emergenti che vogliono farsi spazio a qualunque costo (sacrificando la vita
delle loro comunità), anche facendosi Stato, attraverso l’affermazione della propria visione del
mondo: “Nulla, al di fuori di noi!”
Il più rilevante risultato strategico dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono l’11
settembre 2001 ottenuto dall’internazionale terrorista Jihadista è, senza dubbio, quello di aver
infranto l’inviolabilità del territorio della massima potenza planetaria. Risultato reiterato in
Europa nel 2004 a Madrid e poi a Londra, Parigi, Istanbul arrivando a Manchester nel 2017 per
terminare il 7 ottobre 2023 nell’olocausto di 1200 pacifici civili e 250 persone prese in ostaggio in
Israele da parte di Hamas.
Ma anche l’Occidente ha raggiunto un risultato strategico fondamentale: dopo più di
trent’anni di letargo e abulia i nostri popoli hanno avuto la piena e sconvolgente consapevolezza
della loro vulnerabilità, del livello di pericolo in cui viviamo e in cui vivremo nei prossimi anni.
In Medio Oriente, in alcuni paesi africani e dell’Asia Centrale agiscono da quasi trenta anni
piccoli ma agguerriti gruppi terroristici di svariata estrazione. Una funzione di addestramento di
tipo paramilitare e di condotta di attacchi viene svolta da mercenari professionisti di vari paesi. I
gruppi più consistenti condividono l’obiettivo di dar vita a una guerra santa contro
crociati&giudei, costruendo un unico Stato islamico, la Umma. Questi gruppi Jihadisti
rappresentano il livello fondamentale della rete tentacolare del terrorismo islamico globale. Essi
hanno fatto il loro tirocinio ideologico e militare in Afghanistan, in Bosnia, in Iraq e in Libia.
Insomma, essi si trovano dentro i teatri bellici come pesci nel mare. Una volta addestrati e
indottrinati fanno ritorno nei loro paesi di origine che, molto spesso, sono paesi europei di cui
hanno cittadinanza e passaporto e lì, mimetizzati all’interno delle loro comunità per lo più
pacifiche e laboriose, attendono ordini dalla rete oziando al riparo dei Centri culturali islamici.
Il dato più preoccupante è costituito dal fatto che ciascuna cellula, riesce a rendersi
sostanzialmente autonoma sul piano del reperimento dei fondi, del reperimento di armi ed
esplosivi, nell’individuazione dei bersagli e nella scelta dei tempi dell’attentato. Un grande aiuto
internazionale è sempre venuto a questo tipo di terroristi dai servizi segreti e dalla rete
diplomatica dei paesi fiancheggiatori e sponsor (Iran, Yemen e fino a poco fa Siria), mentre un
ruolo sempre maggiore viene svolto dalle comunità musulmane della diaspora che ha colonizzato
a livello interstiziale l’Europa.
Come giustamente sostenne Magdi Allam: “Su un piano generale siamo psicologicamente,
culturalmente, politicamente e militarmente impreparati a fronteggiare, in modo specifico,
soprattutto il terrorista suicida. Noi tendiamo istintivamente a considerare che ciascuno abbia a
cuore la propria vita, così come le nostre leggi e i nostri sistemi di sicurezza sono stati concepiti

per confrontarsi con un’attività dove non si intenda perseguire il crimine tramite il suicidio-
omicidio premeditato”.

Il terrorismo e la violenza politica devono necessariamente appoggiarsi ad un modello
ideologico iperbolico e ad una organizzazione chiusa/segreta/reticolare come per al-Qa’ida,
tranne nei casi in cui si traduca in Stato come per l’ISIS o per Hamas a Gaza o per la teocrazia
terrorista degli Ayatollah in Iran. L’obiettivo fondamentale di ogni terrorismo è determinare il
terrore, per quanto lapalissiano ciò può sembrare, determinanti sono gli effetti dei suoi atti non gli
atti in sé. Ma in questo caso specifico, del terrorismo islamico, l’uso dei valori simbolici e del
veicolo di amplificazione multimediale è addirittura emblematico. Per questo terrorismo, sia
quando riesce a portare a segno colpi strabilianti, come alle Torri Gemelle di NY, o
particolarmente efferati come lo sterminio di 1200 giovani innocenti che ballavano e famiglie che
dormivano tranquille nei kibuz, sia quando li subisce (o meglio, li fa subire alle popolazioni che
fanno loro da scudo), come con l’inevitabile reazione armata su vasta scala, il risultato è identico
e tende a sommarsi non a elidersi: moltiplica l’euforia o il vittimismo, l’entusiamo festante o
l’urlo rabbioso e isterico di massa, come in un grande set-cinematografico con una diabolica
regia. Per contro, un pietismo catto-terzomondista affetto da sensi di colpa e da un irriducibile,
millenario antiebraismo, e una contemporanea americanofobia, all’interno dell’Occidente, si beve
ogni notizia purché proveniente dai “diseredati” da sostenere sempre vigorosamente.
Terrorizzare l’Occidente, non significa certo predisporne l’occupazione, significa
annichilirlo nello slancio vitale, prostrarlo nella sua corsa sulla via di sempre più importanti
risultati scientifici, di benessere, di sicurezza e di civiltà, rendere precarie le sue conquiste, in una
parola: destabilizzarlo.
Il terrorismo non è una novità per gli occidentali, ne siamo stati maestri. Quello nostrano,
interno, ha logorato con un’azione strisciante e inerziale Stati e istituzioni per decenni. Ha
impegnato forze di sicurezza e risorse imponenti. Non è stato meno pericoloso e meno odioso con
i suoi scopi eversivi di un ordine che è democratico di destabilizzazione di una società che è civile
e aperta. La GB ha avuto il suo Ulster. La Spagna il problema basco. La Grecia il Movimento 17.
L’Italia le brigate rosse/nere. La Francia il movimento corso.
Il compianto Ulrich Beck, ci suggerì addirittura che la percezione del rischio globale,
non rappresenterà affatto il tramonto dell’Occidente, ma al contrario, costituirà la fonte per
il suo risveglio dal torpore arrogante della supremazia conquistata una volta per sempre.
Tutto ciò significa che l’agire politico dovrebbe includere funzioni e comportamenti di tipo
adattativo, finalizzati all’alleggerimento collettivo dell’insicurezza e fondati su una logica di
avversione del rischio, con una intrinseca vocazione ordinatrice e stabilizzatrice che, però, non
deve diventare autoritaria. In questo modo i cittadini occidentali includerebbero soggetti e
comportamenti compatibili con la propria stabilità e promuoverebbero, attraverso quella che
Schattschneider ha chiamato “la mobilitazione del pregiudizio”, la definizione collettiva dei
“soggetti ostili” e dei “comportamenti deviati” che riterrebbero in contrasto con la propria
sopravvivenza.

Tommaso Basileo

®TommasoBasileo - 2024

bottom of page