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La declinazione Green farà ri-splendere il mito del New Deal?

Contrariamente alla vulgata, il mito sull'epopea rooseveltiana del New Deal fu costruito a posteriori, poiché fino al 1939 non aggredì la disoccupazione e fu protezionista e isolazionista. Il Green Deal avrà una più coerente evoluzione?

Il 1929 si tramanda nella memoria di generazioni successive ma per quel che accadde dopo.
In sé non fu un evento eccezionale. Il capitalismo fin dalle origini era segnato da un ciclo
perpetuo di boom and bust, euforia e panico, prosperità e depressione, distruzione creatrice
e instabilità.
Il ricordo della Grande Crisi non è durato in eterno.
Nel 1999, la legge Glass-Stegall è stata abrogata (Presidente B. Clinton) cancellando la prevista
separazione fra banche commerciali e d’investimento, e i banchieri sono tornati a fare cento
mestieri talvolta opachi e contraddittori. Sui mercati l’innovazione tecnologica ha partorito
strumenti finanziari sempre più complessi, veloci e sofisticati come i DERIVATI su cui le banche
e i privati poterono investire a leva grazie alle enormi liquidità, quasi a costo zero, che la FED di
Alan Greenspan mise a disposizione. Si è realizzata anche una disintermediazione: oggi il credito
si reperisce in tante forme, emettendo titoli e vendendoli direttamente in Borsa, senza bussare alla
porta dei banchieri. Gli hedge funds o le società di private equity muovono capitali anche
superiori a quelli delle banche. Come a dire: le lezioni apprese nelle crisi non durano per sempre;
si fatica a tramandare la memoria da una generazione all’altra; le ricadute sono probabili, anzi
certe se mettiamo nel conto lo tsunami finanziario del 2008.
Credo sia utile, tuttavia, analizzare per sommi capi, ma realisticamente, il mito del New
Deal, ritornato prepotentemente in auge dopo lo tsunami finanziario del 2008 e la grave crisi
pandemica del 2020.
Le riforme di Roosevelt sono state un succedersi incalzante e disordinato di idee talvolta geniali,
spesso preveggenti, in anticipo sui tempi, anche se avevano qualche analogia con esperimenti
dirigisti condotti, nello stesso periodo, dai regimi autoritari in Europa. Alla rinfusa, possiamo
dire che Roosevelt sperimentò la distruzione di eccedenze agricole per far salire i prezzi
pagati ai contadini, prefigurando quel che farà la PAC dell’UE mezzo secolo dopo. Rafforzò
i diritti sindacali lasciando fuori, però, l’agricoltura. Varò ampi programmi di sussidi ai
disoccupati, di investimenti in opere pubbliche. Fondò la Social Security, forse la più
influente e durevole di tutte le sue creature: è il sistema pensionistico in vigore tuttora negli
USA. Fece qualche intervento diretto dello Stato nell’economia – nell’energia idroelettrica -,
ma su questo terreno restò ben più cauto e tradizionalista rispetto a quel che accadeva in
Europa.
Il mito costruito a posteriori sull’epopea rooseveltiana non deve farci velo. Al di là
dell’entusiasmo per l’atmosfera idealista, la serietà, la competenza e la moralità delle personalità
pubbliche al vertice dello Stato in quel periodo, quell’atmosfera, sorretta da artisti, scrittori e
intellettuali di alta caratura, non giustifica i giudizi entusiastici (più politici che storici) sui
risultati: le riforme americane degli anni Trenta furono molto meno efficaci di quanto si
crede e si continua a ripetere a pappagallo, almeno nel curare la GRANDE emergenza, cioè la
disoccupazione di massa.
Il New Deal fino al 1939 fu, sostanzialmente, protezionista e isolazionista. Praticò dazi,
barriere doganali e svalutazioni competitive. L’America già negli anni Trenta aveva l’economia
più ricca del pianeta ma sembrava indifferente alle conseguenze della propria politica economica
sul resto del mondo. La versione “internazionalista” di Roosevelt ebbe il sopravvento solo con
l’inizio della seconda guerra mondiale.

L’economista britannico il liberale Keynes viene spesso associato a sproposito al New Deal,
come se ne fosse stato l’ispiratore. In realtà, le idee di Keynes – innovatrici o perfino
rivoluzionarie – ebbero, semmai, una storia parallela. A volte coincisero con le riforme di
Roosevelt e sembravano legittimarle; altre volte il pensatore inglese fu in totale disaccordo con il
presidente americano.
Il New Deal non fu affatto una panacea contro la depressione. Per tutto il primo decennio
fino alla seconda guerra mondiale la produzione industriale recuperò solo metà del suo
rovinoso crollo iniziale e la disoccupazione scese, certo, dal suo picco del 25% ma rimase ad
una media del 17%.
E’ utile ricordare un aspetto quasi sempre messo in sordina: il 1937 fu l’anno di una
ricaduta tremenda. Venne chiamata “Roosevelt Recession”, con altri crac di Borsa, crolli di
produzione industriale, panico. Durò poco ma fu esemplare della non raggiunta stabilità, della
vera fuoriuscita dalla crisi. Una teoria in circolazione in quell’epoca ipotizzò si trattasse degli
effetti di uno “sciopero dei capitalisti”.
Fu, però, da quel momento che Roosevelt si convertì veramente al deficit spending
keynesiano: un modello che lasciò invariate le regole dell’economia capitalistica, non intervenne
sulla distribuzione dei redditi tra capitale e lavoro. E’ in questa fase che le loro strade
diventarono convergenti: di ambedue si disse, in seguito, che “salvarono il capitalismo da se
stesso”, ne curarono le tendenze autodistruttive preservando però un’economia di mercato, in una
fase in cui, a ben vedere, esistevano robuste alternative fondate sui Piani Quinquennali nei regimi
autoritari e dirigisti a Berlino e a Mosca.
Fu solo in conseguenza della mobilitazione militar-industriale che si azzerò la
disoccupazione, l’apparato industriale si rimise a correre e che il debito pubblico americano
raggiunse per la prima volta un livello inaudito: nel 1946 il 106% del PIL. Poi scese per
decenni, molto giù, fino a un quarto di quel valore record.
Abbiamo dovuto aspettare le misure adottate per tamponare la grave crisi finanziaria del
2008 per veder risalire, in termini robusti, il Debito USA. Ma è la pandemia del 2020 che
vede il prodigio: il debito federale degli Stati Uniti superare il record della seconda guerra
mondiale raggiungendo (con l’ultima iniezione di 6.000 Mld di $ operata da Biden) quota 156%
del PIL
AL POSTO DELLE SPESE MILITARI oggi a far schizzare in alto l’indebitamento, oltre alla
necessità di fronteggiare tutti gli effetti immediati e devastanti della depressione pandemica con il

sostegno ai cittadini e alle imprese, c’è IL PIANO DELLA TRANSIZIONE ECOLOGICA-
ENERGETICA che tinge di GREEN il New Deal e ne sta rivitalizzando il MITO, negli Stati

Uniti ma, soprattutto, nel vecchio Continente. Le stesse dinamiche riguardano l’Europa che con il
New Generation UE ha portato il suo Debito Pubblico medio al 130% sul PIL (Italia 159).
Ciò che mi sembra poco realistico è l’obiettivo europeo di raggiungere la Climate Neutrality
entro il 2050 con il “solo sviluppo delle rinnovabili”, senza un accordo globale e senza
mettere in conto l’idrogeno (da subito) e la fusione (entro 2035). Temo possa essere l’ultima
manifestazione eurocentrica, un vero “miraggio” che costerà caro potendo incidere solo sul
9,8% delle emissioni CO2 (Cina 27% - USA 15% - India 7% - Russia 5%). E potrebbe
rivelarsi un colpo duro per la competitività industriale europea.
L’Unione Europea dovrebbe, invece, aiutare la Ricerca per accelerare la maturazione del nuovo
nucleare se si vuole raggiungere, realisticamente, la decarbonizzazione e la transizione
energetica. Si delinea, peraltro, una molto promettente filiera italiana nella tecnologia dei nuovi
reattori SMR (Smal Modular Reactors), facente capo a Stefano Buono collaboratore di Rubbia
al Cern: scorie irrilevanti, altissima sicurezza, abbattimento verticale dei costi, localizzazione
resa più semplice dalle mini-dimensioni, il tutto entro il 2027. Comunque la si pensi, a me pare
abbia ragione il Ministro Cingolani: “Se ne può almeno parlare o è un argomento Tabù?”

®TommasoBasileo - 2024

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