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Obbligatorietà azione penale, CSM, carriera unica Giudici/PM: tutto va ben, madama la marchesa?

L'adozione del principio di opportunità al posto dell'obbligatorietà dovrebbe, insieme alla ristrutturazione del CSM, orientare la Riforma della Giustizia con tutte le garanzie che devono accompagnare tale scelta. E intanto andiamo a votare i Referendum.

Forse non è chiaro a tutti ma La Magistratura, nei moderni Stati democratici, non è
propriamente UN POTERE. In Italia, costituisce un ORDINE costituzionale (art.104 Cost.)
autonomo e indipendente da ogni altro Potere. Del resto, l’indipendenza della Magistratura
giudicante è il fondamento stesso dello Stato di Diritto.
I Magistrati ordinari sono titolari della funzione giurisdizionale che amministrano in nome
del popolo (anche se non deriva dal popolo), nel fedele rispetto della LEGGE. Nel nostro
impianto costituzionale la Magistratura ha, dunque, un posto assai rilevante perché ad essa
sono affidati beni preziosi per la vita dei cittadini (la loro libertà personale e il loro
patrimonio).
Insieme a pochi altri Stati da noi vige L’OBBLIGATORIETA’ DELL’AZIONE PENALE.
Essa è disciplinata dall’art. 112 della Costituzione e impone ai PM di perseguire TUTTI i crimini
commessi. Questo principio è orientato a garantire l’imparzialità della giustizia e
l’uguaglianza dei cittadini davanti alla Legge. Ma è realmente così? O si tratta di un
miraggio? Il nostro apparato giudiziario, almeno fin’ora, non riesce a tener dietro neanche alle
emergenze, è sovraccarico di processi arretrati, come può davvero esercitare la sua azione nei
confronti di tutte le notizie di reato di cui viene a conoscenza?
L’esigenza di fissare “priorità nell’esercizio dell’azione penale” è stato oggetto di una
pressante raccomandazione (in seguito reiterata due volte) del Comitato dei Ministri del
Consiglio d’Europa risalente, addirittura, al 17 settembre 1987. In tale delibera si suggeriva
“l’adozione del principio di OPPORTUNITA’ dell’azione penale insieme a tutte le garanzie che
devono accompagnare tale scelta”.
Non si tratta di una questione di lana caprina. Se l’obbligatorietà dell’azione penale è un buon
principio ma difficilmente applicabile, allora a chi sarebbe meglio spettasse azionare il semaforo e
smistare il traffico tra le diverse tipologie di reato? Data la natura politica della materia, viene da
pensare che la sede più opportuna sia quella del Parlamento, dove siedono i rappresentanti del
popolo. Certo, mettere alla dipendenza dell’Esecutivo l’esercizio dell’azione penale, dopo
l’incubo post-2018, con l’accesso ai vertici dei ministeri di personaggi pescati a caso nei bar e
nelle discoteche, fa tremare i polsi. Piuttosto, meglio, molto meglio introdurre, finalmente,
criteri di priorità definiti dal Parlamento.
Lo Stato, così come stanno ora le cose, ha l’obbligo di finanziare tutte le iniziative che i PM
considerano necessarie per condurre le attività investigative. Giusto, ci mancherebbe! Ma i
PM non portano mai alcuna minima responsabilità non dico per ogni e qualsiasi iniziativa
investigativa e azione penale cui danno inizio e, anni dopo, risultano insufficientemente fondate
ma, almeno, per quelle che risultano del tutto, assolutamente ingiustificate. In altri termini,
l’obbligatorietà trasforma ipso iure qualsiasi loro DECISIONE DISCREZIONALE in un
atto dovuto.
Risultato di questa irresponsabilità? Negli USA, nel 2015 sono stati spiati 1.705 apparecchi
telefonici. Nello stesso anno in Italia, come ha svelato il Procuratore Generale della Corte
d’Appello, nella relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, risultano effettuate
intercettazioni con l’esecuzione di 109.000 controlli ambientali e/o su utenze personali, che hanno
coinvolto circa un milione e mezzo di persone. Va tutto bene, così?

Palazzo dei Marescialli, sede del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA,
ha una peculiarità fra i vari luoghi istituzionali: è il più lottizzato d’Italia. Nei suoi corridoi
gli uomini dell’ANM (il sindacato delle toghe) regolano i conti tra loro, mercanteggiano sulle
carriere, sui trasferimenti e sulle rarissime sanzioni da infliggere agli iscritti e si spartiscono tutti
gli incarichi nel sistema giustizia, rigorosamente in base al peso elettorale delle correnti. Tutto è
lottizzato pure i posti del Comitato Scientifico del Consiglio.
Già nel 2008, fino a quest’anno (da parte del Dott. Gratteri), è circolata e rimbalzata la proposta di
ricorrere al sorteggio tra i magistrati per individuare i consiglieri CSM. Chi si aspettava un
coro di pernacchie è rimasto deluso. L’approccio è valutato seriamente. L’opinione ormai
prevalente è che la dea bendata sia comunque meglio delle correnti dell’ANM. Altri, invece, si
affidano fiduciosi al Referendum-Giustizia n. 5 che consentirebbe a tutti i magistrati di
presentare la propria candidatura senza raccogliere firme a sostegno, quindi, senza il cappio
delle correnti sindacali.
Il problema di fondo resta, tuttavia, il funzionamento di questo organismo. Nato storicamente
nel 1907 come mero organo consultivo, dal 1947 ha radicalmente cambiato Ruolo fino alla
completa indipendenza dal Ministero dopo la sentenza della Consulta 1963.
Tre membri di diritto: Il PdR che lo presiede, il primo Presidente e il Procuratore Generale
della Cassazione. I 16 magistrati eletti nel CSM, sono di norma figure relativamente giovani,
a metà carriera, che non hanno mai ricoperto incarichi direttivi, quindi senza alcuna
esperienza-capacità riconosciuta di gestione degli uffici giudiziari, molto attivi, però, nella
propria corrente sindacale. Anche gli 8 membri “laici” nominati dal Parlamento non brillano
in esperienza-capacità d’organizzazione, trattandosi di avvocati (con almeno 15 anni di esercizio),
professori universitari ordinari in materie giuridiche e politici momentaneamente a spasso.
Innesto essenzialmente dovuto al timore dei costituenti che potesse prender vita un corpo
separato rispetto all’ordinamento.
Spartirsi tutti i posti con il bilancino non è un affare semplice. Come denunciò Ciampi “i
plenipotenziari dei gruppi si azzuffano, col risultato che le nomine vanno in tilt e le posizioni
chiave restano scoperte dei titolari per anni con grave danno per il funzionamento della
Giustizia”. Le attuali lotte al calor bianco nelle più importanti Procure d’Italia a cominciare da
Milano raccontano le sequenze di questo thriller. In tanti casi, poi, quando l’urgenza di assegnare
l’incarico diventa più forte della logica delle faide, allora si mette una toppa perfino con nomine
illegittime. Scatta, immancabilmente, la mannaia della giustizia amministrativa e si ripiomba nel
caos.
I Magistrati sono soliti definire il CSM come “l’organo di autogoverno della Magistratura”.
Ma sarebbe più corretto dire che è “l’organo di governo autonomo della Magistratura”, cui
l’art. 105 della Costituzione assegna “Secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le
assunzioni e i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari” di Giudici e PM. La
Corte Costituzionale con sentenza 142/1973, su questo punto, è stata chiarissima: “Non può
affermarsi che il CSM rappresenti, in senso tecnico, l’ordine giudiziario, di guisa che, attraverso
di esso, se ne realizzi immediatamente il cosiddetto autogoverno (espressione da accogliersi,
piuttosto, in senso figurato che in una rigorosa accezione giuridica)”.
Insomma, un bello STOP al desiderio di debordare del CSM che a volte pare voglia
trasformarsi in una seconda Consulta, altre volte nel terzo ramo del Parlamento. Giorgio
Napolitano intervenne a questo proposito: “Non può suscitare sorpresa o scandalo il fatto che il
CSM formuli un parere. Ma non può esservi dubbio o equivoco sul fatto che al CSM non spetti in
alcun modo quel vaglio di costituzionalità cui, com’è noto, nel nostro ordinamento sono
legittimate altre istituzioni”. E anche Romano Prodi non gliele mandò a dire: “E’ indispensabile
che le attribuzioni del CSM, compresa quella delicatissima di reprimere sul piano disciplinare
condotte di singoli magistrati contrastanti con le fondamentali regole deontologiche, siano svolte
al di fuori di ogni logica spartitoria e di ogni tentazione di difesa corporativa”.
L’Italia è l’unico paese in Europa dove GIUDICI&PM percorrono la stessa identica carriera
e hanno la strana facoltà di entrare e uscire, come attraverso una porta girevole, da una
funzione all’altra, senza trascurare qualche giretto nelle funzioni extragiudiziarie,
parlamentari o governative.
Per il superamento di questa anomalia viene in soccorso, per un’ampia minoranza di Magistrati,
sulla scia dell’orientamento di Giovanni Falcone, il Referndum Giustiazia n. 2, che si prefigge di
SEPARARE, quantomeno, LE FUNZIONI.
Come e perché si è concretizzata questa inedita impostazione nel Belpaese? Potremmo dire:
per le stesse ragioni (storiche) per cui ci godiamo le meraviglie del bicameralismo paritario, la
diffidenza. INFATTI, la Costituzione italiana è l’unica che estende la doverosa e
indispensabile indipendenza dei Giudici anche ai PM. Questi ultimi, solo in Italia, non
rispondono, né direttamente né indirettamente, al Governo. La scelta è dovuta alla fifa blu che
avevano i costituenti democristiani e comunisti, gli uni degli altri, ad adottare la classica
impostazione presente in tutte le altre costituzioni liberal-democratiche: La paura che i PM
sottoposti al Governo potessero diventare un’arma impropria per annientare la parte
politica avversa.
Poveretti, non avevano la sfera di cristallo e non videro cosa sarebbe successo alla Politica,
45 anni dopo, con i PM completamente indipendenti.

Tommaso Basileo

®TommasoBasileo - 2024

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