Tiranni psicopatici allo specchio
I due regimi totalitari del Novecento eressero santuari molto simili alle proprie pseudo religioni e implementarono istituzioni repressive e di controllo praticamente identiche anche se diversamente ispirate.
Le violenze contro i polacchi furono soltanto uno dei tanti aspetti in cui il regime sovietico e quello nazista erano finiti per assomigliarsi. Il nazionalsocialismo tedesco era sempre più assimilabile al “socialismo in un solo paese” e Hitler si stava trasformando a poco a poco in un apprendista-stregone di Stalin.
Quando Iosif Dzugasvili, figlio di un calzolaio georgiano, guardava Adolf Schicklgruber, figlio di un funzionario della dogana, credeva di vedere uno spirito affine. Da ragazzi, entrambi avevano considerato il mondo con lo stesso sentimento sprezzante di sfida. Hitler era un artista fallito, Stalin aveva abbandonato il seminario. Tutti e due erano finiti in carcere sotto i regimi che più tardi avrebbero rovesciato. Erano saliti al potere come membri, e poi leader, di un partito anticapitalistico dei lavoratori. Lavoravano entrambi a ritmi frenetici e preferivano farlo di notte o durante le pause estive (l’equivalente staliniano dell’Obersalzberg era la residenza a Soci, sul mar Nero). Avevano ambedue problemi con l’altro sesso. La nipote di Hitler, Geli Raubal, della quale egli era gelosissimo e infatuato, si era suicidata nel settembre 1931; la moglie di Stalin, Nadezda Allilueva, aveva fatto lo stesso quattordici mesi più tardi, spinta anch’essa dalle attenzioni morbose e ossessive di un uomo 30 anni più vecchio di lei. Entrambe furono rimpiazzate da donne più forti: la florida commessa Eva e la prosperosa cameriera Valecka.
Anche se di dieci anni più giovane, Hitler sembrò apprendere in fretta da Stalin tutto il necessario per diventare dittatore e con la Notte dei lunghi coltelli impressionò il maestro mostrando di essere altrettanto capace di epurare i potenziali rivali del Partito. Con le SS e la Gestapo, Hitler aveva creato un sistema di polizia segreta identica all’NKVD. Ricalcò apertamente anche il Piano quadriennale per l’economia tedesca sui piani quinquennali di Stalin, scontrandosi duramente con il ministro dell’economia Schacht per imporre controlli più serrati. In Polonia, Hitler manifestò una promettente inclinazione allo sterminio di massa, sebbene sembrasse ancora improbabile che sarebbe riuscito a eguagliare Stalin, che alla fine del 1938 aveva già all’attivo la morte di almeno 6 milioni di persone.
I due regimi avevano perfino lo stesso modo di presentarsi. La somiglianza era già evidente al tempo dell’Esposizione Universale di Parigi del 1937, quando il padiglione nazista e quello sovietico si erano ritrovati, sulle rive della Senna, uno di fronte all’altro come obelischi totalitari. Il padiglione tedesco progettato da Albert Speer, era una torre alta 150 metri sormontata da un’aquila e da una svastica gigantesca e circondata da nove colonne decorate con mosaici dorati e altre svastiche. Ai suoi piedi si ergeva Cameratismo, la scultura di Josef Thorak che raffigurava due superuomini nudi mano nella mano. Il padiglione sovietico, progettato da Boris Iofan, era una torre altrettanto monolitica che sosteneva l’operaio e la colcosiana, statua d’acciaio di Vera Muchina.
Entrambi i regimi eressero santuari alle proprie pseudoreligioni e raffigurarono i leader come divinità e patriarchi nazionali. Nell’arte sovietica e in quella nazista comparivano gli stessi archetipi maschili: il martire del partito, il lavoratore instancabile, l’eroe soldato. Altrettanto comune alle due culture era la figura della contadina quale simbolo di fertilità. Perfino la raffigurazione dei nemici (gli ebrei e i nepmen) aveva talmente tanti tratti in comune da risultare quasi sospetta, soprattutto negli anni Quaranta, in seguito alla chiara deriva antisemita del sistema stalinista. Entrambe i regimi offrirono opportunità illimitate a una generazione di artisti di ogni disciplina, conservatori o semplicemente opportunisti, affinché sovvertissero il modernismo che aveva segnato gli anni Venti.
Nelle pagine del Mein Kampf Hitler inveiva contro l’arte bolscevica sostenendo che “le escrescenze morbose di uomini malati e degenerati emergevano...nei concetti di cubismo e dadaismo”, ma il rifiuto statalizzato del modernismo stava iniziando ad affermarsi anche in Unione Sovietica. Già nel 1926 Robert Pel’se si era scagliato contro “la malattia mentale dei “radicali” di sinistra...Futurismo, cubismo, espressionismo, verismo, dadaismo, contro la stoltezza e l’indolenza, contro l’incauta indifferenza e il dubbio”. Nell’arte nazista le nudità femminili erano rappresentate molto più di quanto succedesse nelle opere sovietiche, dove la donna indossava abiti castigati, tute da lavoro o costumi tradizionali. Le arti figurative del nazismo si ispiravano al neoclassicismo e al romanticismo; le origini del realismo sovietico, invece, vanno fatte risalire al movimento degli Ambulanti, che intorno al 1860 avevano rifiutato i dettami accademici tradizionali.
La risoluzione sovietica per il “Riassetto delle organizzazioni letterarie e artistiche” fu approvata nel 1932, prima della salita al potere di Hitler in Germania. Le istituzioni implementate da Goebbels per imporre un controllo centrale e assoluto ad ogni ramo della cultura tedesca avevano un’incredibile affinità con quelle già sviluppate da Stalin. Alla fine degli anni Trenta l’arte nazista era talmente simile a quella sovietica che Stalin avrebbe avuto tutte le ragioni per accusare Hitler di plagio.
Naturalmente tra nazismo e comunismo, e tra i due dittatori, vi erano delle differenze. Hitler era un demagogo, un uomo capace di infiammare il pubblico con messianici vaneggiamenti; Stalin, invece, era un burocrate, ossessionato dal controllo di ogni minimo aspetto, dalla produzione di viti di bottoni, di stivali, alle esecuzioni di massa. Hitler era giunto al potere per vie più o meno democratiche, Stalin per mezzo di intrighi orditi all’interno dell’apparato comunista. Hitler si mise a capo di una delle società industriali più sviluppate del mondo, per cui nel 1938 il Pil pro-capite dell’URSS non era nemmeno la metà di quello tedesco. Ma forse la differenza fondamentale tra i due tiranni psicopatici fu il fatto che mentre Hitler non aveva alcuna intenzione di rispettare il Patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop, il povero Stalin ci credeva, eccome, ci credeva assolutamente come un allocco.
Tommaso Basileo