Uman-ismi: inevitabili i pregiudizi?
I distintivi di conformità inconsci e camaleontici servono a creare immunità per i membri del nostro gruppo e a mettere in evidenza la nudità degli esterni
Gli ismi, come è noto, descrivono stati della mente: accozzaglie di credenze che hanno
alimentato l’odio, ispirato l’oppressione, giustificato la tortura, affrancato ideali, aggregato gli
inetti, impedito l’istruzione e distrutto civiltà.
Tutti gli ismi che abbiamo collezionato hanno viaggiato attraverso il nostro lessico,
trasformando i concetti come i virus trasformano le cellule del nostro corpo. Essi sono il
prodotto di una mente che non può fare a meno di costruire un’immunità intorno a un
gruppo scelto di individui mentre esilia tutti gli altri in un remoto angolo di un confino
psicologico. Questa idea mal si accorda con il punto di vista dominante delle scienze umane e
sociali secondo cui i nostri ismi sono il prodotto dei capricci e delle arguzie della storia.
La nostra specie ha sviluppato, credo in modo unico, l’abilità di adattarsi, di imitare e insegnare
ad applicare distintivi agli appartenenti ai nostri gruppi sociali, mentre tutti gli animali, incluso
l’uomo, iniziano il proprio ciclo vitale equipaggiati con diversi sistemi di base attivi fin da subito
e progettati allo scopo di individuare l’altro.
I distintivi di identità creano immunità per i membri del gruppo mentre mettono in evidenza la
nudità degli esterni. I distintivi bypassano la necessità di una spiegazione. I distintivi emergono
potentemente già nella prima infanzia, appiccicati ai compagni di gioco in ogni forma, misura e
tipo: la cattiva ragazza, il fusto stupido, l’idiota, il nerd. Alcuni di questi distintivi vengono
richiamati esplicitamente, altri invece emergono inconsciamente mentre noi, come i camaleonti, ci
mimetizziamo con i colori di quelli che ci circondano.
I nostri distintivi di conformità inconsci e camaleontici sono affiancati da etichette consce e
accettate esplicitamente che aiutano a identificare e mettere in evidenza gruppi culturali
specifici. Non appena vediamo un modello non etichettato, o vediamo l’opportunità di crearlo,
applichiamo un’etichetta distintiva, esplicitando spesso perché è necessaria, chi può indossarla o
chi non ne ha più la possibilità.
Quindi, una prima caratteristica che ci riguarda è quella che crea una distinzione tra chi è
come me e chi non lo è. Questo processo è l’inevitabile prodotto della nostra biologia. Una
seconda caratteristica è la risposta egoista. Questa si è evoluta in funzione a un fatto della vita:
la competizione per risorse limitate. Dall’egoismo, però, può emergere la solidarietà. Allora si
evolvono meccanismi progettati per farci sentire felici quando aiutiamo gli altri, e in colpa quando
non lo facciamo.
Il filosofo politico John Rawls, mettendo insieme queste due caratteristiche, ha fornito un
potenziale metodo per specificare i dettagli di un contratto sociale, basato sull’idea di giustizia
come equità. In particolare, Rawls ha riconosciuto due aspetti della natura umana: tutti gli esseri
umani sono autointeressati e il pregiudizio entra nell’area morale quando consideriamo le
possibili conseguenze delle nostre azioni per il benessere degli altri. Per risolvere questo
problema, gli individui devono decidere ciò che è equo in assenza di informazioni sugli altri e su
se stessi, su chi sono, su come sono, e su che cosa pensano sia equo; si decide anche senza
conoscere la propria condizione personale nel futuro. Poiché siamo autointeressati, ma non
sappiamo quale sorte c’è riservata, saremo sensibili alle decisioni che potrebbero avere un impatto
negativo sul nostro futuro. Così, se penso che gli scienziati dovrebbero essere pagati con salari più
alti, sarò soddisfatto di questo anche se non mi sarà dato di raggiungere il grado di scienziato.
Possiamo convertire la regola aurea in una procedura decisionale più generica: “Decidi il meglio
per gli altri decidendo ciò che sarebbe meglio per te”.
La terza caratteristica distintiva chiama in causa il disgusto. L’emozione riservata a quanto è
esterno al gruppo, ed è progettata per espellere il diverso da me tanto rapidamente quanto il nostro
sistema immunitario rigetta un’infezione con la sua milizia di anticorpi. E’ una delle ricette della
nostra mente: cospargi di disgusto una convenzione sociale e voilà, otterrai una
trasgressione morale. Ogni movimento motivato politicamente che abbia tentato di far
primeggiare l’ideologia di un gruppo a scapito di un altro ha usato il disgusto.
Affermare che i nostri ismi sono l’inevitabile prodotto della nostra biologia non significa che
dobbiamo rassegnarci e osservare l’evolversi dell’amnesia morale in denigrazione, umiliazione
e, infine, nella distruzione dell’altro. L’Alzheimer potrebbe essere l’inevitabile prodotto della
nostra biologia, del naturale invecchiamento dei nostri cervelli, ma i neuroscienziati stanno
aggressivamente cercando tecnologie che un giorno potrebbero mandare in corto circuito questa
malattia degenerativa. Le scienze elimineranno i nostri ismi? NO. Tuttavia possono definire i
contesti in cui sorgono più facilmente, piazzando uno specchio davanti alla natura umana,
che rifletta i suoi punti deboli. Possiamo mettere in guardia le persone dai discorsi che insistono
sul tasto del disgusto. Forse questo esercizio catalizzerà una nuova conversione, dagli ismi tossici
all’umanitarismo.
Tommaso Basileo