Una FAKE euroscettica si aggira imperterrita per l’Italia da 22 anni: “1936,27”!?
Gli smemorati non ricordano le dinamiche che avviò la nascita dell'Euro: liberazione dalla soffocante supremazia del dollaro, fine del rischio di cambio, un mercato più liquido, stabilità finanziaria.
Possibile che non sappiano farsi due conti? Possibile che non abbiano accesso a TUTTE le
informazioni utili che può fornire Internet? Fatto sta, che dopo 22 anni, dal 01/01/1999 continua
a girare l’inossidabile Fake che il TASSO DI CONVERSIONE DELLA LIRA CON
L’EURO, accettata da Prodi/Ciampi, “avrebbe dovuto essere la metà”. Invettive a ruota
libera di tradimento e/o incompetenza vengono, da allora, lanciate addosso ai due statisti
che si sarebbero fatti irretire dai partner europei.
Ma le cose stanno veramente così? ASSOLUTAMENTE NO
Ai tassi di conversione dalle singole valute nazionali all’Euro si giunse partendo dai rapporti di
cambio esistenti fra le singole monete degli Stati. Quindi:
Tassi tra LIRA e le altre monete Tassi di conversione delle val. naz. In EURO
Lire 47,89 1 Franco belga 1 EURO 40,3399 Franchi belgi
“ 987,52 1 Marco tedesco “ 1,95583 Marchi tedeschi
“ 11,63 1 Peseta spagnola “ 166,386 Peseta spagnola
“ 294,62 1 Franco francese “ 6,55957 Franchi francesi
“ 1936,27 Lire italiane
“ 47,99 1 Franco lussemb. “ 40,3399 Franchi lussemb.
“ 875,53 1 Fiorino olandese “ 2,20371 Fiorini olandesi
“ 140,40 1 Scellino austriaco “ 13,7603 Scellini austriaci
“ 9,63 1 Escudo portoghese “ 200,482 Escudo portogh.
“ 324,55 1 Marco finlandese “ 5,9457 Marchi finland.
“ 5,71 1 Dracma greca “ 340,750 Dracme greche
ALLORA. Se si prova a dividere 1936,27 per i singoli tassi di conversione delle varie valute
nazionali IN EURO, esse vi daranno (con insignificanti scostamenti) i singoli tassi di conversione
della LIRA con le altre monete europee vigenti poco prima di quella data fatale 01/01/1999.
Esempio: I/B 1936,27/40,3399 = 47,99 - I/D 1936,27/1,95583 = 989,99 ecc. ecc. ecc.
NULLA SI CREA E NULLA SI DISTRUGGE, TUTTO SI CONVERTE.
Nessun inganno, quindi, nessun complotto interno/esterno fu consumato ai nostri danni. Molto
curioso, peraltro, che gli stessi critici che blateravano come ossessi sulla necessità di esser
liberi di effettuare le “svalutazioni competitive” propugnassero una parità a 1.000 Lire x 1
Euro: avrebbe rappresentato una mostruosa “rivalutazione anti-competitiva” che avrebbe
annichilito veramente il nostro export. Che ne fossero inconsapevoli? MAH! O che fossero
ancora affascinati da quella boiata di “Quota 90” di M?
Due furono gli avvenimenti che produssero l’accelerazione del Progetto per una moneta comune
europea. La scelta solitaria di Richard Nixon nel 1971 di vietare la convertibilità in oro del
dollaro che portò allo sfascio il sistema di Bretton Woods. Le turbolenze economiche seguite
allo shock petrolifero del 1973.
Gli USA dopo l’inconvertibilità si misero a stampare moneta a ritmi industriali esportando nel
mondo inflazione, finanziando i loro interventi militari e comprando asset industriali stranieri a
prezzi di realizzo. Non si poteva andare avanti così.
Di qui venne programmato e ufficializzato, in prima istanza, il meccanismo dello SME che
prevedeva la creazione di una unità di conto comune a tutti i paesi aderenti denominata ECU
(European Currency Unit), il cui valore risultava dalla media ponderata delle diverse valute
nazionali e che fungeva da cardine del sistema. Le valute nazionali potevano variare il loro
rapporto di cambio nei confronti dell’ECU, soltanto rimanendo all’interno di una limitata banda
di oscillazione intorno a un valore fisso detto parità centrale.
Il passo successivo fu la creazione dell’EURO. Esso, fin dall’inizio, affiancò il dollaro USA
quale principale valuta di regolamento degli scambi internazionali e come moneta di riserva delle
varie Banche Centrali di tutto il mondo. Nel giro di qualche anno l’Euro occupò stabilmente 1/3
dello spazio globale degli strumenti finanziari in circolazione prima appannaggio esclusivo degli
strumenti espressi in dollari.
Tra Cina e Russia e alcuni Stati minori asiatici si sta abbozzando, in questi giorni disgraziati di
guerra, un molto improbabile percorso analogo per tentare di sortire analoghi effetti.
E’ bene ricordare agli smemorati che La nascita dell’Euro produsse l’annullamento del
rischio di cambio tra gli operatori europei e dei relativi costi di assicurazione che permise ai
grandi investitori istituzionali, da un lato, di fruire di una maggiore potenziale diversificazione del
portafoglio (per es., un investitore tedesco interessato a investire nel settore automobilistico, in
passato avrebbe potuto decidere di non acquistare azioni FIAT semplicemente a causa del rischio
di possibili svalutazioni della lira; l’annullamento del rischio di cambio rese invece le azioni FIAT
una concreta alternativa a quelle Volkswagen) e, dall’altro, di non essere più costretti a detenere
comunque grandi riserve di valuta nazionale (una Cassa di Previdenza tedesca, per es., doveva
detenere ingenti riserve investite in strumenti finanziari denominati in marchi perché,
all’occorrenza, doveva poterli vendere rapidamente e senza rischi di cambio per pagare le
pensioni in marchi ai pensionati tedeschi).
Un mercato unico di grandi dimensioni con un’unica moneta realizzò un mercato più
liquido, in quanto, ampliando il numero degli operatori fu più facile reperire controparti negoziali
sia in acquisto che in vendita, riducendo il rischio di fluttuazioni indesiderate dei prezzi. Un
mercato più liquido si dimostrò anche più efficiente, in quanto il maggior volume di
transazioni consentì di ridurre il costo unitario delle medesime: basti in proposito considerare
come, all’epoca dell’avvio dell’unificazione monetaria europea, la differenza tra i prezzi denaro e
lettera (che misura il costo del servizio dealer) dei titoli di Stato decennali emessi dal Tesoro
americano fosse pari alla metà di quella tra i corrispondenti prezzi dei titoli decennali del Tesoro
tedesco.
L’Euro si presentò come una moneta strutturalmente forte in quanto i paesi aderenti
all’Unione si sottoposero a una ferrea disciplina di bilancio. La forza intrinseca dell’Euro e
la trasformazione del mercato europeo delle merci in un mercato domestico comportarono,
infine, che la massima parte delle riserve ufficiali in oro e in dollari detenute dai singoli
paesi a garanzia della solvibilità internazionale dei propri operatori sia diventata superflua:
il deficit commerciale tra paesi che adottano la stessa moneta non si traduce infatti in un
deficit della bilancia dei pagamenti, da coprire eventualmente attingendo a riserve valutarie,
essendo esso comunque regolato in Euro.
L’Italia ha così riacquistato la disponibilità, per ogni e qualsiasi straordinario fabbisogno
nazionale, di ca. 2.200 tonnellate d’oro pari, grosso modo, a 100 Mld. di Euro. Un tesoro che i
nazional-populisti nostrani osservano con concupiscenza dal 2018. Auguriamoci che non
riusciranno mai ad affondare le loro grinfie su quel salvadanaio destinato alle future generazioni
cui non possiamo lasciare solo debiti da onorare, inquinamento e surriscalmaneto climatico.